Affamare le cellule tumorali di zucchero potrebbe essere la chiave per il trattamento futuro

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Tutte le cellule del nostro corpo sono programmate per morire. Invecchiando, le nostre cellule accumulano molecole tossiche che le fanno ammalare. In risposta, alla fine si rompono e muoiono, aprendo la strada alla crescita di nuove cellule sane. Questa “morte cellulare programmata” è una parte naturale ed essenziale del nostro benessere. Ogni giorno, miliardi di cellule muoiono in questo modo affinché l’intero organismo continui a funzionare come dovrebbe.

Ma come in ogni programma, possono verificarsi errori e le cellule danneggiate che dovrebbero morire continuano a crescere e dividersi. Queste cellule danneggiate possono alla fine diventare maligne e generare tumori. Per evitare in questo modo la loro morte cellulare programmata, le cellule tumorali riorganizzano il loro metabolismo in modo da poter ingannare la morte e proliferare indefinitamente.

I ricercatori del cancro sanno da decenni che i tumori utilizzano un metabolismo più veloce rispetto alle cellule normali del nostro corpo. Un esempio classico di questo è che le cellule tumorali aumentano il loro consumo di glucosio per alimentare la loro rapida crescita e colpire la morte cellulare programmata. Questo significa che limitare il consumo di glucosio nelle cellule tumorali sta diventando uno strumento interessante per il trattamento del cancro.

Una nuova speranza?

Potreste aver visto articoli o siti web che sostengono che affamare i pazienti di zucchero è fondamentale per sbarazzarsi dei tumori o che mangiare meno zucchero riduce il rischio di cancro. La storia non è così semplice. Le cellule tumorali trovano sempre delle alternative per alimentare il loro serbatoio di glucosio, non importa quanto poco zucchero ingeriamo. Non c’è una connessione diretta tra mangiare zucchero e ammalarsi di cancro ed è sempre consigliabile parlare con il proprio medico se si hanno dubbi sulla propria dieta.

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I ricercatori hanno dimostrato che le cellule tumorali usano il glucosio per generare i mattoni dei composti cellulari necessari per una rapida crescita tumorale. Lo usano anche per generare molecole che proteggono dall’accumulo tossico di specie reattive dell’ossigeno, le molecole dannose per le cellule che attivano la morte cellulare programmata. Questo significa che il glucosio serve come maestro protettore contro la morte cellulare.

Se la quantità di zucchero che mangiamo non influisce su questo processo, la domanda a cui dobbiamo rispondere è come le cellule tumorali sono istruite a consumare più glucosio. Chi riempie il serbatoio del carburante? Abbiamo scoperto che ciò che permette ai tumori di eludere la loro causa naturale di morte in questo modo è una proteina che è iperprodotta praticamente in ogni cancro umano, ma non nelle cellule normali.

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Crescita turbo

In un recente studio pubblicato su Nature Communications abbiamo dimostrato che le cellule tumorali stimolano la sovrapproduzione della proteina nota come PARP14, permettendo loro di utilizzare il glucosio per mettere il turbo alla loro crescita e scavalcare il controllo naturale della morte cellulare. Usando una combinazione di approcci genetici e di biologia molecolare, abbiamo anche dimostrato che inibire o ridurre i livelli di PARP14 nelle cellule tumorali le affama fino alla morte.

La notizia migliore è che confrontando i tessuti del cancro (biopsie) da pazienti che sono sopravvissuti al cancro e quelli che sono morti, abbiamo trovato che i livelli di PARP14 erano significativamente più alti nei pazienti che sono morti. Questo significa che i livelli di PARP14 nei tessuti del cancro potrebbero anche predire quanto aggressivo sarebbe il cancro e quali sono le possibilità di sopravvivenza di un paziente.

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Questo significa che un trattamento che potrebbe bloccare la proteina potrebbe rappresentare una rivoluzione significativa nel futuro del trattamento del cancro. Inoltre, a differenza della chemioterapia e della radioterapia tradizionali, l’uso degli inibitori di PARP14 ucciderebbe solo le cellule tumorali e non quelle sane. Il prossimo passo è quello di progettare e generare nuovi farmaci in grado di bloccare questa proteina e capire come usarli in modo sicuro nei pazienti.

Concetta Bubici, docente di scienze biomediche, Brunel University London e Salvatore Papa, scienziato senior, Institute of Hepatology, Birkbeck, University of London

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Questo articolo è stato originariamente pubblicato su The Conversation. Leggi l’articolo originale.

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