Commento

Molti pazienti con malattia di Alzheimer (AD) prendono inibitori della colinesterasi (ChEIs), ma i primi studi sulla memantina hanno necessariamente escluso tali pazienti. Questo importante studio è il più grande RCT sulla memantina ed è il primo a valutare la combinazione con gli inibitori della colinesterasi (ChEIs).

Rimangono domande importanti. La memantina rallenta il tasso di progressione della malattia o, come i ChEI, dà una spinta sintomatica? (Il follow up randomizzato era troppo breve per rivelare se i gruppi di memantina e placebo divergevano). La memantina influenza l’istituzionalizzazione e/o la mortalità? Entrambe sono domande con significative implicazioni farmaco-economiche, ma inevitabilmente non affrontate negli studi di licenza. Quali sono i predittori della risposta al trattamento?

La domanda chiave è se l’effetto benefico visto negli studi clinici è evidente nella pratica. Le solite distorsioni potrebbero aver aumentato la dimensione dell’effetto, ma due effetti potrebbero averlo ridotto: il tasso di abbandono più basso nel gruppo della memantina e il “rumore” dei pazienti in diversi punti della loro risposta al donepezil. Inoltre, la misura clinica globale è significativamente diversa tra farmaco e placebo. Probabilmente questo significa che, per definizione, c’è un effetto clinicamente significativo.

Quindi, prescriverei la memantina? Sì, nell’AD moderato e grave. Piccoli cambiamenti nelle ADL, nella dipendenza assistenziale e nei disturbi comportamentali in questo gruppo di pazienti hanno maggiori probabilità di avere importanti ripercussioni sui bisogni assistenziali rispetto, per esempio, alla malattia lieve. L’esperienza con le CHEI suggerisce che anche quando i cambiamenti in altre misure sono piccoli, la misura globale clinica non dovrebbe essere ignorata.

Memantine non sembra causare il miglioramento precoce delle ADL spesso visto all’inizio delle CHEI. Questo rende difficile prendere decisioni sul trattamento prolungato e continuato sulla base di una valutazione iniziale della risposta al trattamento. Tuttavia, questa strategia, anche se mandata per i ChEIs dal NICE nel Regno Unito, non ha mai avuto alcuna prova a sostegno: la risposta al trattamento a 3 mesi non predice la risposta a 6 mesi. Ancora una volta, sembra che fermare il farmaco sarà più difficile che iniziarlo. Forse dovremmo smettere di preoccuparci di questo e cominciare ad accettare che, come per altre malattie croniche, il trattamento a lungo termine sarà la norma anche nell’AD.

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