Opere giovanili.
E’ probabilmente nel 1340 che Boccaccio fu richiamato a Firenze da suo padre, coinvolto nel fallimento dei Bardi. Il periodo protetto della sua vita finì così, e da allora in poi ci furono solo difficoltà e occasionali periodi di povertà. Da Napoli, tuttavia, il giovane Boccaccio portò con sé un bagaglio di lavoro letterario già completato. La caccia di Diana, la sua prima opera, è un breve poema, in terza rima (un verso giambico composto da strofe di tre versi), di non grande merito. Molto più importanti sono due opere con temi derivati da romanzi medievali: Il filocolo (c. 1336; “The Love Afflicted”), un’opera in prosa in cinque libri sugli amori e le avventure di Florio e Biancofiore (Floire e Blanchefleur); e Il filostrato (c. 1338; “The Love Struck”), un breve poema in ottava rima (una forma di strofa composta da otto versi di 11 sillabe) che racconta la storia di Troilo e della fedele Criseida. La Teseida (probabilmente iniziata a Napoli e terminata a Firenze, 1340-41) è un’ambiziosa epopea di 12 canti in ottava rima in cui le guerre di Teseo servono da sfondo all’amore di due amici, Arcita e Palemone, per la stessa donna, Emilia; Arcita alla fine la vince in un torneo ma muore immediatamente.
Mentre i temi della cavalleria e dell’amore in queste opere erano stati a lungo familiari nei circoli di corte, Boccaccio li arricchì con i frutti della sua acuta osservazione della vita reale e cercò di presentarli in modo nobile e illustre con uno sfoggio di cultura e ornamento retorico, in modo da rendere il suo italiano degno di confronto con i monumenti della letteratura latina. Fu Boccaccio, inoltre, che elevò alla dignità letteraria l’ottava rima, il metro di versi dei menestrelli popolari, che sarebbe poi diventato il veicolo caratteristico del verso italiano. Le prime opere di Boccaccio ebbero un effetto immediato fuori dall’Italia: Geoffrey Chaucer trasse ispirazione da Il filostrato per il suo Troilo e Criseide (come William Shakespeare avrebbe poi fatto per Troilo e Cressida) e dal Teseida di Boccaccio per il suo “Racconto del Cavaliere” nei Racconti di Canterbury.
I 10 o 12 anni successivi al ritorno di Boccaccio a Firenze sono il periodo della sua piena maturità, che culmina nel Decameron. Dal 1341 al 1345 lavora a Il ninfale d’Ameto, in prosa e terza rima; L’amorosa visione (1342-43), un mediocre poema allegorico di 50 brevi canti in terza rima; la prosa Elegia di Madonna Fiammetta (1343-44); e il poema Il ninfale fiesolano (forse 1344-45; “Storia della ninfa fiesolana”), in ottava rima, sull’amore del pastore Africo per la ninfa Mensola.
Boccaccio, nel frattempo, cercava continuamente di mettere ordine nei suoi affari finanziari, anche se non ci riuscì mai. Poco si sa, tuttavia, dei dettagli della sua vita nel periodo successivo al suo ritorno a Firenze. Fu a Ravenna tra il 1345 e il 1346, a Forlì nel 1347, a Firenze durante le devastazioni della peste nera nel 1348, e di nuovo a Firenze nel 1349.