Io in tutta la mia gloria amante del curry nel corso degli anni
“Gli indiani profumano di curry.” Il mio io undicenne trasale, cercando la fonte. La voce è maschile, il tono è derisorio. I miei occhi sfrecciano per il corridoio, cercando di trovare la voce tra il rumore degli armadietti che sbattono. È chiaro che le mie orecchie non dovevano sentirla. Ma ho sentito.
“Gli indiani puzzano di curry”. Non si dice mai in modo gentile. Anche quando il curry ha un buon odore. Ho tredici anni. Mi annuso discretamente la camicia. Puzzo? Ho mangiato curry ieri sera. Annuso di nuovo. Distolgo lo sguardo, mi guardo intorno, controllo ciò che mi circonda. Nessuno sta guardando. Annuso ancora una volta. Tiro un sospiro di sollievo. Non puzzo di curry. Almeno spero di no.
“Gli indiani puzzano di curry”. Ormai è diventato uno scherzo, una bonifica agrodolce di qualcosa che non avrebbe mai dovuto essere dispregiativo. Ho sedici anni. Io rido. Non sanno che brucia ancora. Fa ancora male pensare che le ricche spezie e il calore di casa siano soggetti a nasi stropicciati e sorrisi al vetriolo. Mia madre e mia nonna sono schiave dei fornelli ogni sera. Durante il giorno si riducono a uno stupido scherzo.
I profumi delle spezie salgono le scale e io inspiro. Curcuma, cardamomo, cumino. Sono impressi a fuoco nella mia memoria. Ho un sesto senso per loro. Sentendo il richiamo di mia madre, mi precipito giù per le scale. I miei vestiti sapranno di curry. Ma ormai ho imparato a mettere il profumo.