I gioielli veneziani Blackamoor: Pieralvise Zorzi ce lo spiega

Origini e significato dei mori veneziani

Q:Il Blackamoor veneziano: può darci un quadro dell’origine e della storia di questo gioiello?

Il Blackamoor, sotto forma di spilla, pendente o orecchini, secondo alcuni, risale alle sue origini al XVIII secolo.

Tuttavia, oserei dire che è ancora più antico, risalente al XVI secolo, poiché non ha mai raffigurato uno schiavo ma, come si vede dalle ricche vesti e dai turbanti ingioiellati, un ricco e forse anche nobile personaggio orientale.

Con tutta probabilità forse nacque dall’ingenua idea di qualche abile artigiano di tradurre in gioiello i personaggi “moriscos” dell’Orlando Furioso: Ferraù, Rodomonte, Sacripante, nobili cavalieri musulmani provenienti da al-Andalus, la Spagna araba. Gli antagonisti di Orlando e Rinaldo, insomma.

Da allora il termine “moro”, genericamente, designava i saraceni, gli etiopi, i turchi, i libici, in pratica tutti coloro che venivano dal Medio Oriente, si può anche ipotizzare che l’origine sia ancora più antica e derivi dai rapporti commerciali che i veneziani avevano con questi popoli, o addirittura risale al crudele contatto con i cavalieri mediorientali al servizio di Salah-ed-Din.

È certo che era considerato molto chic, ai tempi della Serenissima, avere gente di servizio dalla pelle scura, come si vede anche nel “Miracolo della Croce” dipinto da Vettor Carpaccio nel 1498, dove un gondoliere “de casada” (di casa privata) è quasi in primo piano, con pelle scura.

I personaggi storici che amano il Moretti (BlackamoorJewlery)

Q:Tornando a tempi più recenti, il rapporto dei cosiddetti VIP con questo gioiello?

Dei VIP di oggi non so, visto che il termine si applica anche a personaggi di gusto molto dubbio.

Sicuramente ogni famiglia aristocratica o alto-borghese veneziana ha almeno un gioiello di moro nel suo portagioie: era un dono ambito e molto gradito, e veniva passato di madre in figlia. Tutti coloro che frequentavano una certa società internazionale, inevitabilmente, erano affascinati da questi piccoli capolavori.

I Mori e Venezia

Q:I Mori e Venezia, un rapporto durato secoli: qualche aneddoto della storia della Repubblica Serenissima?

Beh, sarebbe certamente necessario far luce sul rapporto tra Venezia e la schiavitù.

Citandomi da “Venezia, il Canal Grande”, dove racconto la storia di Palazzo Barzizza, che probabilmente era una bottega di schiavi, vorrei ricordare a tutti che Venezia aveva formalmente abolito la schiavitù già nell’876, sotto il dogado di Orso Parteciaco e, dalle cronache di Andrea Dandolo, sappiamo che il provvedimento era stato ripetuto dal doge Pietro Candiano nel 960.

È vero però che il mercato rimase fino a molti secoli dopo. Gli schiavi potevano essere prede o prigionieri di guerra, ma potevano anche essere riscattati.

Oltre a quelli impiegati sui remi, gli schiavi trovavano lavoro nelle case come servi ed erano trattati con giustizia e rispetto, protetti da leggi molto dure per i loro padroni, ai quali era vietato usare violenza, nutrirli e alloggiarli male e persino farli lavorare troppo. Se lo avessero fatto, i padroni sarebbero incorsi in gravi sanzioni economiche.

Lo storico tedesco Kretschmayr lo ricorda nella sua Storia di Venezia, aggiungendo che “è chiaramente dimostrato che ci furono schiavi volontari pagati in tutto il Medioevo per un certo periodo di tempo..”.

Nel 1694 il doge Francesco Morosini “il Peloponnesiaco”, nel suo testamento ricorda, “quattro schiave morose” e lascia loro cento ducati ciascuna come dote nel caso si sposassero. È certo che in molti casi il confine tra servo o assistente troppo personale era molto sottile.

L’Otello di Shakespeare e il Moro di Venezia

Q:Per evitare confusione e dare un po’ di chiarezza al nostro pubblico: può distinguere bene per noi la figura di Otello di Shakespeare e i gioielli del moro?

L’Otello di Shakespeare secondo me non ha nulla a che fare con gli “africani”: è una figura di fantasia, visto che non c’è mai stato un ammiraglio veneziano di etnia africana o nordafricana nella storia della Serenissima.

Non certo per razzismo, allora ancora sconosciuto, ma per motivi politici: mentre l’esercito di terra era affidato a un capo di professione affiancato da un Provveditore, i posti di comando nella flotta erano esclusiva del patriziato.

E’ possibile che l’ispiratore fosse un patrizio di casa Moro, o addirittura un Contarìni soprannominato “bruno” per i capelli o per la carnagione olivastra.

Nonostante l’edificio chiamato “Desdemona” porti sempre una lacrima ai turisti di passaggio, non ci sono negli archivi o nelle cronache un Moro o un Contarini – né Cristoforo né Nicola – che siano stati entrambi generali vittoriosi e uxoricidi.

Il mistero non è stato svelato né dall’anglo-veneto Rawdon Brown, sostenitore della teoria che identifica Cristoforo Moro e la sua seconda moglie, una Da Lezze, soprannominata “White Demon”, nei protagonisti, né dalla brava studiosa di Udine Antonella Favaro , che vi si è dedicata con entusiasmo.

Perché la stampa italiana ha chiamato il veneziano Moretti con il termine inglese “Blackamoor”?

Q:Tornando alla polemica degli ultimi giorni scatenata contro la principessa di Kent, ha pensato che i tabloid stessero cercando di fare notizia a tutti i costi?

I tabloid hanno creato la polemica, visto che, di fatto, si aggrappano a qualsiasi cosa pur di fare notizia.

La famiglia reale inglese, compresi i futuri membri, ha un alto senso dell’umorismo che impedisce loro di offendersi per simili reati. Infatti non credo né all’offesa né alle scuse.

Q:Molti giornali italiani (Il Gazzettino di Venezia escluso), che hanno seguito l’onda riportando pedissequamente la notizia senza informarsi, hanno perso un’altra occasione per difendere il vero Made in Italy?

Certo. C’è anche una sorta di controsnobismo diffuso, per cui se si può attaccare l’aristocrazia (decaduta o meno) e magari accusarla di tutti i mali del mondo, tutti i pretesti sono buoni.

Penso che dovremmo sempre documentarci bene e, soprattutto nel caso di attacchi più o meno diretti a prodotti veneti esclusivi e specifici, difendere ad oltranza le nostre eccellenze.

Soprattutto dopo affermazioni assurde, e senza dubbio montate dai tabloid d’oltremanica, come quella che il Prosecco fa marcire i denti. Sarebbe meglio applicare il proverbio veneziano: “prima de parlar, tasi.” (prima di parlare, taci!)

Vi salutiamo entrambi come al solito: con l’abbraccio più grande del mondo!

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