Il miglior posto del mondo3 min read

È la domanda “qual è il miglior posto del mondo?” che dopo aver girato i cinque continenti in moto, tutti mi fanno.

È la domanda ricorrente che mi viene sempre proposta, il gigantesco punto interrogativo, l’eterno dubbio…Qual è il paese che ti è piaciuto di più…Dove torneresti senza esitare? E la risposta è la più difficile che un viaggiatore possa dare: ci sono mille luoghi.

Perché il luogo preferito di un viaggiatore è dentro la sua testa, nel profondo della sua anima, è un insieme di tutto ciò che rimane di ogni luogo che ha visitato.

Il miglior posto del mondo: è dentro di te

Il mio paradiso, il miglior posto del mondo, è come un puzzle che assemblo poco a poco con i piccoli pezzi di quelle meravigliose albe australiane, la sabbia arancione del deserto della Namibia, la pista che attraversa la Austral Highway in Cile, circondata da alberi secolari. Sono i colori del giorno dei morti in qualsiasi cimitero messicano. Il posto migliore del mondo, l’ho memorizzato nella mia mente e profuma di mango e ananas, quelli che le donne africane portano così artisticamente su un grande vassoio sulla testa.

In questo luogo speciale, l’acqua è cristallina e piena di pesci colorati come nel lago Malawi; acqua che cambia colore con le nuvole, o se piove, o se soffia il vento. Il cibo viene dalle bancarelle di strada, disseminate di padelle dove si frigge il pesce, o dove si grigliano piccoli pezzi di pollo su piccoli barbecue, come in Thailandia. Si mangia con le mani e si beve birra ghiacciata.

Nel posto più bello del mondo, strade sterrate ti portano sulla riva di un mare dai colori profondi, con rocce dipinte di bianco piene di uccelli e grandi foche paffute su di esse che si crogiolano al sole. Su quella spiaggia la sabbia è fine come sulle spiagge dell’Indonesia.

E quando scende la notte, sono cento sfumature di rosso, le stesse che ho visto sulla strada per Ushuaya, e il cielo è scuro, pieno di stelle copiate da quelle che coprono le saline di Uyuni in Bolivia. Le donne indossano sarong colorati e shaar di paillettes, gli uomini sono muscolosi e snelli come un guerriero Masai. In questo posto, basta fare un respiro profondo e sorridere, parcheggiare la moto ed entrare in uno qualsiasi dei suoi bar per mescolarsi con la gente, che anche se non parla la mia lingua, mi capisce.

E alla fine della strada, dopo aver pedalato su un asfalto infinito come la Transiberiana, c’è una città, piccola, come la mia Madrid, pulita e rispettosa come Tokyo e con il sapore della tradizione di Lisbona, gli edifici coloniali dell’Ecuador, l’atmosfera di New York, l’organizzazione di Vancouver.

In quel luogo, quello che è il tuo preferito, quello in cui torneresti ancora e ancora, puoi invitare chiunque tu voglia, perché chiunque ti senta parlare dei tuoi viaggi, chiunque legga i racconti che scrivi su di loro, stanno attraversando il confine per raggiungere la tua “terra di nessuno”.

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