La concezione moderna della legge naturale che significa o implica diritti naturali è stata elaborata principalmente da pensatori del XVII e XVIII secolo. Le conquiste intellettuali – e specialmente scientifiche – del XVII secolo (incluso il materialismo di Hobbes, il razionalismo di Cartesio e Leibniz, il panteismo di Spinoza, e l’empirismo di Bacone e Locke) incoraggiarono una credenza distintamente moderna nella legge naturale e nell’ordine universale e, durante il XVIII secolo – la cosiddetta Età dei Lumi, ispirata da una crescente fiducia nella ragione umana e nella perfettibilità delle cose umane – portò all’espressione più completa di questa credenza. Particolarmente importanti furono gli scritti di Locke, probabilmente il più importante teorico del diritto naturale dei tempi moderni, e le opere dei pensatori del XVIII secolo noti come i philosophes, che, concentrati principalmente a Parigi, includevano Montesquieu, Voltaire e Jean-Jacques Rousseau. Locke sostenne in dettaglio, principalmente negli scritti associati alla Gloriosa Rivoluzione inglese (1688-89), che certi diritti appartengono evidentemente agli individui come esseri umani (perché questi diritti esistevano nell’ipotetico “stato di natura” prima che l’umanità entrasse nella società civile); che i principali tra questi sono i diritti alla vita, alla libertà (libertà da regole arbitrarie) e alla proprietà; che, entrando nella società civile, l’umanità ha ceduto allo stato – in virtù di un “contratto sociale” – solo il diritto di far rispettare questi diritti naturali e non i diritti stessi; e che il fallimento dello stato nel garantire questi diritti dà origine al diritto alla rivoluzione popolare responsabile. I filosofi, basandosi su Locke e altri e abbracciando molte e varie correnti di pensiero con una fede suprema comune nella ragione, attaccarono vigorosamente il dogmatismo religioso e scientifico, l’intolleranza, la censura e le restrizioni sociali ed economiche. Cercarono di scoprire e agire su principi universalmente validi che governano la natura, l’umanità e la società, inclusi gli inalienabili “diritti dell’uomo”, che trattarono come un fondamentale vangelo etico e sociale.
Non sorprende che questo fermento intellettuale liberale abbia esercitato una profonda influenza nel mondo occidentale di fine XVIII e inizio XIX secolo. Insieme alla Gloriosa Rivoluzione in Inghilterra e alla conseguente Carta dei Diritti, fornì il fondamento per l’ondata di agitazione rivoluzionaria che travolse l’Occidente, soprattutto in Nord America e in Francia. Thomas Jefferson, che aveva studiato Locke e Montesquieu, diede un’eloquenza poetica alla semplice prosa del XVII secolo nella Dichiarazione di Indipendenza proclamata dalle 13 colonie americane il 4 luglio 1776:
Noi riteniamo che queste verità siano evidenti, che tutti gli uomini sono creati uguali, che essi sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, che tra questi sono la Vita, la Libertà e la ricerca della Felicità.
Similmente, il marchese de Lafayette, che si guadagnò la stretta amicizia di George Washington e che condivise le difficoltà della Rivoluzione Americana, imitò i pronunciamenti delle rivoluzioni inglese e americana nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 26 agosto 1789, proclamando che “gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti” e che “lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrivibili dell’uomo.”
In sintesi, l’idea dei diritti naturali, antenata della nozione contemporanea di diritti umani, ha giocato un ruolo chiave nelle lotte di fine XVIII e inizio XIX secolo contro l’assolutismo politico. Fu, infatti, il fallimento dei governanti nel rispettare i principi di libertà e uguaglianza ad essere responsabile di questo sviluppo.