Nei secoli successivi, la contabilità fu affiancata dalla statistica, dall’economia, dai sondaggi e da una serie di altri metodi numerici. Ma anche se questi metodi si espandevano, tendevano ad essere appannaggio di istituzioni piccole e affiatate, società accademiche e associazioni professionali che potevano difendere gli standard. Le associazioni statistiche nazionali, per esempio, fornirono presto il know-how per gli uffici statistici ufficiali, affiliati e finanziati dai governi.
Nel 20° secolo, emerse un’industria dei fatti. Le società di ricerche di mercato iniziarono a condurre sondaggi negli anni ’20 e si estesero ai sondaggi d’opinione negli anni ’30. Think tank come l’American Enterprise Institute furono fondati durante e dopo la seconda guerra mondiale per applicare statistiche ed economia alla progettazione di nuove politiche governative, tipicamente al servizio di un programma politico o di un altro. L’idea di “politica basata sull’evidenza”, popolare tra i politici liberali alla fine degli anni ’90 e all’inizio degli anni 2000, ha visto l’economia essere pesantemente appoggiata per giustificare i programmi di governo, in una presunta epoca post-ideologica.
Ovviamente il termine “fatto” non è riservato esclusivamente ai numeri. Ma implica un tipo di conoscenza che può essere distribuita in modo affidabile in pubblico, senza costante bisogno di verifica o interpretazione.
C’è però un contributo molto più radicale alla nostra politica post-verità che potrebbe alla fine trasformare la nostra società come ha fatto la contabilità 500 anni fa.
Siamo nel mezzo di una transizione da una società di fatti a una società di dati. Durante questo periodo di transizione, la confusione abbonda intorno allo status esatto della conoscenza e dei numeri nella vita pubblica, esacerbando la sensazione che la verità stessa venga abbandonata.
Il punto di partenza per comprendere questa transizione è la diffusione delle tecnologie “intelligenti” nella vita quotidiana, talvolta chiamata “internet delle cose”. Grazie alla presenza di smartphone e smartcard nelle nostre tasche, alla drammatica diffusione dei social media, all’ascesa dell’e-commerce come mezzo di acquisto di beni e servizi, e alla diffusione di dispositivi sensoriali negli spazi pubblici, ci lasciamo alle spalle una grande quantità di dati mentre svolgiamo le nostre attività quotidiane.
Come le statistiche o altri fatti tradizionali, questi dati sono di natura quantitativa. Ciò che è nuovo è sia il suo volume senza precedenti (il “grande” in big data) e anche il fatto che viene costantemente raccolto per default, piuttosto che per deliberata progettazione di esperti. I numeri vengono generati molto più velocemente di quanto abbiamo un uso specifico. Ma possono comunque essere estratti per avere un’idea di come le persone si comportano e cosa pensano.