Pochi presidenti americani sono stati più profondamente diffidati e più completamente mal interpretati dai loro avversari di Wilson, eccetto forse Roosevelt, e i due uomini sono stati diffidati da molte delle stesse classi della società americana e mal interpretati, se non per lo stesso motivo, almeno per motivi simili. Entrambi hanno cercato di realizzare un gruppo di riforme salutari nel funzionamento del sistema politico ed economico americano e nell’uso e nella distribuzione prevalente del potere politico. Entrambi hanno cercato di plasmare la presidenza in un’agenzia rappresentativa che sarebbe servita ad avviare i cambiamenti che si proponevano di realizzare; e come conseguenza del loro comportamento in carica hanno entrambi contribuito essenzialmente all’accrescimento della presidenza nella mente popolare e all’assunzione da parte dei suoi occupanti di nuove e gravose funzioni politiche. Entrambi sono stati accusati dai loro oppositori, da un lato di un governo personale dominante e arbitrario, e dall’altro di un’incapacità di resistere alle correnti del sentimento popolare e di un desiderio morboso di ottenere il favore popolare. Ma nondimeno entrambi usarono i poteri esercitati come presidente allo scopo, nel complesso, di dare uno scopo più commovente e vincolante e una migliore organizzazione di lavoro alla vita nazionale americana. Per quanto sia pericoloso anticipare i verdetti della storia, azzardiamo un’ipotesi sui commenti che gli storici faranno sulla leadership politica dei primi venti anni del ventesimo secolo. Essi interpreteranno il lavoro del presidente Wilson come una continuazione del lavoro iniziato dall’ex presidente Roosevelt.
La reale connessione tra il lavoro dei due presidenti progressisti non è sufficientemente compresa, in parte perché il signor Wilson ha sempre sottovalutato il suo debito verso il lavoro compiuto dal signor Roosevelt, in parte perché il signor Wilson ha sempre sottovalutato il suo debito verso il lavoro compiuto dal signor Roosevelt. Roosevelt, in parte perché il signor Roosevelt si è permesso di diventare il più feroce e cospicuo dei nemici partigiani del signor Wilson, ma soprattutto perché i due uomini sono stati costretti ad applicare i loro principi progressisti a problemi così radicalmente diversi. Le due amministrazioni del signor Roosevelt si occupavano quasi esclusivamente degli affari interni. La sua instancabile iniziativa e le sue eccezionali doti di agitatore furono dedicate a concentrare l’opinione pubblica sull’importantissimo compito di democratizzare il sistema politico del paese e socializzare il suo sistema economico. Si aspettava che il suo lavoro venisse portato avanti dal suo successore repubblicano Taft, ma le influenze reazionarie nel suo stesso partito erano troppo potenti. Il lavoro non fu ripreso fino a quando Wilson fu eletto presidente, quando, sostenuto da un partito più unito, un presidente democratico approfittò del lungo periodo di agitazione e fece di più in quattro anni per incorporare principi progressisti nel sistema economico nazionale di quanto i suoi predecessori avessero fatto in dodici. Nonostante la differenza di enfasi che è risultata dall’affiliazione del signor Wilson al partito democratico, il suo lavoro in questo senso è chiaramente una continuazione, se non una consumazione, di quello iniziato dal signor Roosevelt. Con un abile uso dell’iniziativa presidenziale e sostenuto da un’opinione pubblica eccitata, Wilson scrisse nella legge la connessione tra una politica economica progressiva e l’unità nazionale.
Ma oltre a questi problemi di riorganizzazione interna, Wilson dovette anche affrontare in Messico e in Europa questioni di politica estera altrettanto importanti. In relazione a queste questioni la sua situazione era completamente diversa. Come capo dell’esecutivo della nazione e capo del suo servizio diplomatico, egli possedeva più iniziativa e una maggiore discrezione nel trattare tali questioni di quanto non facesse nel trattare i problemi interni; ma nell’esercizio di questa discrezione era gravemente ostacolato dai suoi stessi limiti, da quelli del suo partito e dalla condizione impreparata dell’opinione pubblica. Proprio come nella vita interna del paese, la marcia di conquista dell’industrialismo aveva distrutto l’equilibrio del tradizionale sistema sociale e legale e richiedeva una ricostruzione dell’unità nazionale americana su un fondamento di consapevole democrazia sociale, così nella sua relazione con le nazioni straniere un’analoga alterazione aveva avuto luogo nei fatti e un’analoga necessità esisteva per lo sviluppo di una politica estera più responsabile e democratica. La relazione con il Messico coinvolse in forma acuta tutti i problemi più difficili e controversi che le relazioni estere della democrazia americana hanno sollevato, tra cui la portata della Dottrina Monroe, il panamericanismo, la misura del sostegno che dovremmo dare ai concessionari americani in paesi stranieri, e la responsabilità di una nazione potente per le condizioni interne di un vicino più debole. Il rapporto con la guerra europea metteva in discussione il tradizionale dogma della neutralità americana, basato su un rigido isolamento e che si traduceva in un’irresponsabile indifferenza per le questioni internazionali europee o in un interesse meramente colloquiale per esse. Ma rispetto a tutti questi problemi il signor Wilson era inesperto, il suo partito era ignorante o reazionario, e l’opinione pubblica in generale non era mai stata sensibilizzata né alla loro importanza intrinseca né alla necessità di elaborare un nuovo equipaggiamento di idee e metodi con cui affrontarli. Wilson fu spesso costretto, come presidente, a prendere decisioni che impegnavano la nazione in una particolare e forse costosa linea d’azione negli affari esteri, nonostante il fatto che avesse dietro di sé un tessuto di opinione pubblica ignorante, eterogeneo e impreparato.