Oasis – ogni album classificato e valutato

Bene, questo non dovrebbe essere troppo difficile. Dopo tutto, il consenso popolare afferma che gli Oasis hanno cambiato la vita e poi sono stati una merda di cane, e sicuramente tutto quello che devo fare è fellatio i primi due album, flagellare ‘Be Here Now’, archiviare la mia copia e nascondermi sotto il letto mentre il linciaggio online discute se giocare a ping-pong con le mie palle o semplicemente timbrarle (preferirei che fossero trasformate in orecchini di pelliccia, se ho voce in capitolo…).

Eppure, eccomi qui: seduta a mezzanotte, con la testa che gira, la lingua che si muove come un bulldog confuso, così stanca che Bonehead sembra suonare una chiave gigante sulla copertina di ‘Be Here Now’, mischiando i sette album in studio dei Gallagher sul mio tavolino come un Louis Walsh di bassa lega prima delle finali di ‘X Factor’. Gesù, questa è un’agonia. Se solo Simon fosse qui per aiutare a rompere l’impasse…

La quantificazione degli album non è una scienza esatta. Non indosso un camice e non posso analizzare queste canzoni a livello molecolare, come il tizio della pubblicità della Oral B. Tutto quello che posso dare è il mio bieco e parziale conto alla rovescia del meglio del peggio di una band che ha cambiato la mia vita. Dopo averlo fatto, mi piacerebbe sentire la vostra opinione.

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1. ‘Definitely Maybe’ (1994)

Detto questo, questa decisione è stata un pezzo di merda. Mentre la maggior parte delle band indie degli anni ’90 avevano un tacito accordo – “Cominciamo con un debutto di merda, poi ci diamo da fare…” – gli Oasis sono usciti dai blocchi completamente formati, con attitudine, chimica, citazioni, un sano disprezzo per Phil Collins e un parka pieno di canzoni perfette.

Strano a pensarci ora, ma su ‘Definitely Maybe’, Noel aveva davvero qualcosa da dire, e quando fondeva manifesti da coda di paglia come ‘Rock ‘N’ Roll Star’ con melodie che raschiavano il cielo e la voce di Liam, il risultato suonava come la voce di Dio. Supersonic’, ‘Slide Away’, ‘Columbia’, ‘Cigarettes & Alcohol’… verso il ’94, gli Oasis stavano pisciando fuori classici come un uomo con un cazzo d’oro.

Certo, ci sono due tracce che si saltano sempre (‘Up In The Sky’ e ‘Bring It On Down’) e un aborto fissato con le lasagne che è irritante come le piattole su un tourbus (chinati, ‘Digsy’s Dinner’). Ma non spacchiamo il capello in quattro. Definitely Maybe’ è buono come il rock ‘n’ roll diventa.

2. ‘What’s The Story (Morning Glory)’ (1995)

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Ho difficoltà con ‘Morning Glory’ in questi giorni. Smussato da troppi jukebox e discoteche per matrimoni, ascoltare questo secondo album ora mi sembra un po’ come guardare Del Boy cadere attraverso il bar: Ci credo, ma solo perché la società lo richiede. Per me, è diventato una carta da parati culturale, e ha anche alcuni segni di sbandamento, come la turgida “Hey Now!” e lo sferragliare da cavernicolo di “Roll With It”. Ho anche considerato di sostituirlo con ‘The Masterplan’, finché non mi sono consultato con il mio scolaretto anni ’90 interiore e mi ha messo in riga: “Che cazzo? Lo abbiamo amato! Mettilo come #2, idiota furioso!”

Ha ragione. Sospendete il vostro cinismo, eliminate il contesto soffocante, avvicinatevi a queste 12 canzoni con orecchie vergini, e ‘Morning Glory’ è ancora un disco incredibilmente buono. Dalla doppietta da urlo di “Wonderwall” e “Don’t Look Back In Anger”, attraverso lo strimpello tormentato di “Cast No Shadow”, fino alla marea di “Champagne Supernova”, questi sono inni nazionali non ufficiali che hanno fatto da colonna sonora all’arrivo di una generazione. In effetti, mi azzarderei a sostenere che è l’ultima volta che un album – o una band – ha veramente cambiato la cultura britannica.

3. ‘The Masterplan’ (1998)

Un consiglio ai cantautori alle prime armi in una vena creativa incandescente: non spargete i vostri inni giovanili come b-sides. Il vostro fuoco morirà. La vostra musa appassirà. Prima che ve ne rendiate conto, canterete di torte magiche e vi chiederete perché avete seppellito quell’irto duetto call-and-response con vostro fratello. Avrai capito che ho un rapporto complicato con ‘The Masterplan’. Sospetto che anche Noel ce l’abbia. Certo, mentre quei primi singoli arrivavano come palle da demolizione, sembrava elettrizzante e sicuro buttare via gemme come ‘Acquiesce’, ‘Talk Tonight’ e ‘Fade Away’ come flips, ma quando questa compilation è arrivata nel ’98, è arrivata con la frustrazione della fronte che Noel non li ha trattenuti per un grande terzo album.

4. ‘Standing On The Shoulder Of Giants’ (2000)

In un altro blog di NME, ho esposto la teoria che ‘Standing On The Shoulder Of Giants’ non è l’irrigazione del colon musicale implicita nei suoi dati di vendita e nella posizione della critica. Alcune persone erano d’accordo. Molti no. Alcuni pensavano che avrei dovuto essere strozzato alla nascita con il mio stesso cordone ombelicale. Comunque sia, io continuo a valutare questo quarto album, dal groove lenteggiante di ‘Go Let It Out’ alle atmosfere da sudore freddo di ‘Gas Panic’. Persino ‘Little James’ ha un certo fascino “so-shit-it’s-funny”.

5. ‘Don’t Believe The Truth’ (2005)

Come Quentin Tarantino, TFI Friday e Hooch, nel 2005, avevo capito che gli Oasis erano qualcosa che non avrebbe mai dovuto superare la linea di confine del millennio. Mi hanno buttato fuori strada con ‘Don’t Believe The Truth’: un sesto album che aveva un po’ di sangue e tuoni, con ‘Lyla’ che scuoteva la polvere e ‘The Importance Of Being Idle’ che trasferiva il mojo di Noel per la prima volta dopo anni. Non lo definirei proprio un Return To Form, ma quando qualcuno ti ha preso a calci nelle palle per anni, è un relativo sollievo quando ti dà uno schiaffo in faccia, e ‘Don’t Believe The Truth’ fu un passo decisivo nella giusta direzione.

6. ‘Be Here Now’ (1997)

Siamo venuti. Abbiamo fatto la coda. Abbiamo pagato. E tutto per questo: una cena per cani troppo cotta messa insieme da cinque egocentrici dal naso polveroso e un produttore che si è avvicinato al suo mestiere con tutta la grazia di un uomo che riempie troppo una salsiccia. Dopo un’iniziale esplosione di stelle sulla stampa musicale, ‘Be Here Now’ è diventato rapidamente il fustigatore preferito dell’indie, per le sue canzoni fiacche, la sua produzione sgargiante e la sua durata da era glaciale, e in questi giorni siede rannicchiato sul gradino del cattivo, coperto di punture di spillo della critica, con le mani sulla faccia gonfia. Ad essere onesti, non sono più arrabbiato con questo album, solo deluso. E’ la fine dell’imperiosa corsa iniziale di Noel e il bellyflop che ha lanciato uno tsunami di duds.

7. ‘Heathen Chemistry’ (2002)

Non mi sono mai piaciuti gli Oasis come democrazia cantautorale e ‘Heathen Chemistry’ è stato un casino a quattro. Noel si è fatto strada nella melassa con ‘Stop Crying Your Heart Out’ e ci ha fatto vomitare con ‘She Is Love’. Liam ha brevemente alimentato le speranze di essere un genio alla Dylan con ‘Songbird’, prima di rivelare che, no, non lo era, con ‘Born On A Different Cloud’. Gli sforzi di Gem Archer e Andy Bell si spengono come fuochi d’artificio umidi. In sintesi, quindi, ‘Heathen Chemistry’ è quasi abissale, e con The Strokes e The Libertines che spaccano nel 2002 circa, sareste stati pazzi a perdere tempo con questa discarica di dinosauri del rock.

8. ‘Dig Out Your Soul’ (2008)

Sono consapevole che alcuni giornalisti e punter hanno visto ‘Dig Out Your Soul’ come un tardivo ritorno alla forma, e onestamente non sto cercando di agitare la merda dandogli il cucchiaio di legno. Personalmente, ho odiato questo album. In realtà, ‘odio’ è una parola troppo forte, che implica un qualche tipo di risposta emotiva o un accelerazione del polso. Ero semplicemente annoiato dai solchi di valium di ‘Falling Down’, dal cod-Lennon-ismo da marcia della morte di ‘I’m Outta Time’ e dalla psichedelia di mezza tacca di ‘To Be Where There’s Life’. Ogni altro album degli Oasis ha almeno una canzone che mi impedisce di darla in pasto al secchio delle occasioni. ‘Dig Out Your Soul’ è morta per me.

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